L’anticipo delle integrazioni salariali da parte delle banche – prime considerazioni sull’accordo ABI – Sindacati
Il 30 marzo è stato sottoscritto l’accordo tra l’Associazione Bancaria Italiana e le parti sociali, Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori e delle imprese, alla presenza del Ministero del Lavoro, per consentire ai lavoratori che dovranno percepire il pagamento delle indennità dall’Inps, di ottenere in tempi più rapidi i soldi relativi alle integrazioni salariali previste dal Decreto Cura Italia.
Ovviamente nessun accordo di questo tipo sarebbe stato necessario se l’Inps fosse in grado di garantire i pagamenti in tempi ragionevoli, quindi il semplice fatto che si debba sopperire a mancanze di apparati statali dovrebbe essere motivo di riflessione per chi ci governa.
In sostanza gravi mancanze della macchina statale vengono ancora una volta messe a carico di lavoratori e imprese, che devono sopperire per conto loro con strumenti alternativi; e il primo aspetto di questo accordo degno di essere rimarcato è il fatto che, pur prendendovi parte il Ministero del Lavoro, il contributo dello Stato nell’agevolare i lavoratori ad ottenere i soldi in tempi rapidi è pari a zero.
L’accordo infatti si sostanzia in un prestito che la banca eroga al lavoratore e che il lavoratore si obbliga a restituire cedendo alla Banca il proprio credito presso l’Inps; questo prestito è garantito dal lavoratore stesso e in alcune ipotesi dal datore di lavoro (nel caso in cui la domanda di integrazione salariale non vada a buon fine per sua responsabilità o in caso di omesse o errate comunicazioni alla banca).
Quindi la situazione in sintesi è questa: aziende e lavoratori che versano regolarmente i propri contributi all’Inps, quindi pagano di tasca propria ogni mese, nel momento in cui dovrebbero ottenere dall’Inps, quindi dallo Stato, le prestazioni per cui hanno puntualmente pagato (a pena di sanzioni in caso di ritardo), si trovano a dover sopperire, sempre a proprie spese e oneri, alle mancanze dello Stato, che non è in grado di garantire i pagamenti che dovrebbe effettuare, non si dice con la puntualità con cui li pretende, ma almeno in un tempo ragionevole che consenta ai lavoratori di poter avere i soldi per la spesa.
E quel che ancora stupisce è che lo Stato, in questo caso in veste di Inps e Ministero del Lavoro, non senta il dovere di fornire alcun contributo concreto al problema di cui è unica causa, per cui il prestito che la banca effettua al lavoratore deve essere garantito dal lavoratore stesso, tramite il proprio stipendio e anche tramite il proprio TFR; quindi se l’Inps non dovesse provvedere a pagare l’indennità entro 7 mesi alla banca – ipotesi tutt’altro che peregrina – il lavoratore dovrà restituire i soldi alla banca di tasca propria.
Nel merito dell’accordo, scorrendone il testo, ulteriori perplessità si presentano circa il fatto che, così come è formulato, possa essere utile al raggiungimento dell’obiettivo prefisso: ovvero semplificare la vita ai lavoratori e accelerare i tempi di accesso ai soldi.
La procedura si presenta infatti particolarmente complessa, come già lascia intendere la modulistica per la domanda, composta da ben 7 pagine.
In sintesi e in attesa di ulteriori chiarimenti e istruzioni operative, proviamo a ipotizzare l’iter cui dovrebbe attenersi il lavoratore, prendendo come esempio un lavoratore che voglia chiedere l’anticipo del trattamento di integrazione salariale ordinario:
1. Individuata la banca cui intende rivolgersi, il lavoratore compila il modello di richiesta A1; se il lavoratore non ha familiarità con strumenti informatici anche basilari, dovrà recarsi personalmente in banca per ritirare il modello;
2. il modello A1, prima di essere presentato in banca, deve essere sottoscritto anche dall’azienda, cui quindi il lavoratore dovrà rivolgersi, auspicando che sia in grado di gestire telematicamente anche questo passaggio, altrimenti sarà necessario un ulteriore spostamento presso l’azienda; questo a meno che questo passaggio non sia gestito direttamente tra banca e azienda, come sarebbe auspicabile;
3. presentato il modello o ancora prima di questo passaggio, bisognerà attendere la valutazione della Banca rispetto alla richiesta, che la banca può ovviamente anche respingere in base a proprie valutazioni; i tempi di questi “istruttoria” non sono definiti dall’accordo (che si limita ad auspicare “nel più breve tempo possibile”) e potranno verosimilmente variare da banca a banca;
4. a questo punto presumiamo che se l’esito dell’istruttoria è positivo, la banca comunichi al lavoratore gli estremi del conto corrente ad hoc aperto;
5. con i dati del conto corrente aperto, il lavoratore compilerà e dovrà consegnare alla banca il modello A2, con il quale si impegna a comunicare all’Inps gli estremi del conto per i pagamenti e a farsi garante personalmente delle somme che la banca accrediterà sul conto; anche questo documento deve essere sottoscritto dall’azienda;
6. ma la pratica non è ancora conclusa; infatti gli estremi del conto corrente servono anche per un altro documento necessario a completare la pratica, il modello A3 che il lavoratore deve spedire all’Inps e che serve per domiciliare presso la banca i pagamenti dell’Inps; questo modello deve essere spedito a mezzo raccomandata (o altro mezzo equivalente non specificato: è auspicabile la semplice email, considerando come la maggior parte delle persone non abbia una pec personale), oltre che all’Inps anche alla propria azienda (qui ci sarebbe da svolgere qualche valutazione sulla fine che questo documento farà una volta pervenuto presso la sede Inps, ma scacciamo per il momento i dubbi che ci assalgono sulle reali possibilità che il documento possa mai andare a finire nell’ufficio giusto e, nel caso, in quali tempi);
Se l’interessato non ha dimestichezza con l’email, dovrà quindi recarsi alla Posta per spedire due raccomandate (quindi con spostamento e spesa presumibile di 12 euro circa).
In merito al modulo A3 c’è da rilevare un altro aspetto: in tale modulo il lavoratore si impegna ad indicare nel modulo SR41 (il modulo che l’azienda trasmette all’Inps e nel quale indica gli estremi bancari dei propri dipendenti sui cui l’Inps dovrà accreditare le somme) l’Iban del conto ad hoc aperto presso la banca; quindi il lavoratore deve impegnarsi ad indicare un qualcosa in un modulo che non compila lui; ulteriore complicazione possono essere le tempistiche, nel caso in cui l’azienda abbia già inviato il modulo SR41 e solo successivamente il lavoratore riceva dalla banca gli estremi del nuovo conto corrente. Anche su questo auspichiamo chiarimenti e andiamo avanti.
7. Spedita la raccomandata all’Inps, il lavoratore dovrà far pervenire alla banca copia del modulo A3 spedito e della ricevuta della raccomandata; anche in questo caso se la persona non può provvedere tramite email, dovrà recarsi personalmente in banca.
8. Oltre ai 3 moduli sopra indicati, il lavoratore dovrà presentare alla banca:
– fotocopia del documento di identità;
– fotocopia del codice fiscale;
– dichiarazione dell’azienda di aver proceduto all’inoltro della domanda di integrazione salariale con richiesta di pagamento diretto (quindi altro documento da chiedere al datore di lavoro e farsi mandare in qualche modo; sempre a meno che non venga previsto un canale di comunicazione diretto banca/aziende);
– copia ultima busta paga;
– copia permesso di soggiorno per i lavoratori stranieri;
– in caso di lavoratore dipendente da azienda non associata alle parti sottoscrittrici dell’accordo con l’abi, dichiarazione del datore di lavoro di condividere ed aderire ai principi, criteri e strumenti previsti nella convenzione (altro documento da chiedere al datore di lavoro e di cui non è ben chiaro il senso, visto che il datore di lavoro deve già sottoscrivere i modelli A1 e A2).
Ribadito come auspichiamo che, tramite successivi chiarimenti e istruzioni operative la nostra ipotesi di iter burocratico sia largamente smentita, risultandone fortemente semplificata, è chiaro che se così non fosse il tutto appare molto complicato.
Chi non ha un’email o non la padroneggia, dovrà verosimilmente effettuare 6/7 spostamenti, presso la banca, il datore di lavoro, la posta; di questi tempi e con le limitazioni degli spostamenti in vigore, non un problema indifferente, col rischio anche di incorrere in qualche sanzione.
Ma anche per chi ha un’email e la padroneggia, gli adempimenti sono molteplici e i passaggi tanti.
Inoltre non tutti sono dipendenti di grandi aziende con uffici del personale organizzati e strutturati in grado di gestire in tempi rapidi la modulistica e gli adempimenti necessari; anzi molti dei lavoratori che potrebbero avere necessità di presentare richiesta sono i dipendenti delle piccole e piccolissime aziende, bar, ristoranti, piccoli negozi, parrucchieri, ecc., che potrebbero avere non poche difficoltà a gestire correttamente e rapidamente tutti gli adempimenti.
Insomma quella che doveva essere una semplificazione si prospetta come un percorso ad ostacoli, dalle tempistiche incerte per tante variabili e i tanti attori in gioco: lavoratore, azienda, banca, inps.
Aggiungiamo l’incognita dei costi: delle raccomandate abbiamo detto, ora bisognerà capire se le banche applicheranno costi e di quale entità; dubitiamo che l’operazione possa risultare del tutto gratuita per i lavoratori, considerando la mole di lavoro non indifferente che comunque anche le banche dovranno svolgere per ogni pratica.
Vien da chiedersi se non sarebbe stato preferibile, invece di sobbarcare di incombenze (e costi?) i lavoratori – tra l’altro senza nessuna certezza sul fatto che i pagamenti da parte delle banche possano essere effettivamente rapidi – percorrere strade diverse, come per esempio garantire aperture di credito alle aziende e non ai lavoratori, così da consentire direttamente ai datori di lavoro di provvedere all’anticipo delle indennità.
Ma una misura di questo tipo, certamente più efficace e rapida, avrebbe comportato la necessità da parte dello Stato di farsi garante in qualche modo delle aperture di credito fatte direttamente alle aziende (mentre abbiamo visto come in base all’accordo stipulato, il lavoratore è garante di se stesso); ma come già osservato, dobbiamo constatare come il Governo abbia scaricato sulle spalle di altri (banche, aziende, lavoratori) il problema di cui è causa.