L’accordo sulla rappresentanza, quando i giocatori sono anche l’arbitro
Grande strombazzo su tutti gli organi di stampa per “l’accordo sulla rappresentanza sindacale” sottoscritto lo scorso 19 settembre tra CGIL, CISL, UIL, Confindustria, Inps e Ispettorato del Lavoro, con la benevola supervisione del nuovo governo, che probabilmente ha molta premura di sottoscrivere cambiali che ne garantiscano la durata.
Sorvolando su considerazioni politiche e sugli aspetti tecnici dell’accordo (ovvero il metodo di calcolo della rappresentanza), stupisce che solo qualche organo di stampa abbia sottolineato la peculiarità di un accordo in cui alcuni soggetti, che hanno molti “competitor” nei loro settori, stabiliscano tra di loro le regole per stabilire chi conta e chi no, escludendo appunto gli altri soggetti, sindacati dei lavoratori e organizzazioni dei datori di lavoro, che operano nel settore; il tutto con la benedizione della pubblica autorità.
In sintesi Confindustria, CGIL, CISL e UIL si sono autoproclamati arbitri della partita di cui sono giocatori, in competizione con le altre organizzazioni di settore, stabilendo tra di loro le regole in base alle quali uno è rappresentativo e un altro no.
Per chi non lo avesse chiaro, spieghiamo come funzionerà questo sistema trasparente e democratico: l’Inps, in collaborazione con l’Ispettorato del Lavoro, raccoglierà i dati provenienti dalle aziende aderenti a Confindustria (circa il 3% del totale delle aziende italiane!!) e sulla base di questi dati “certificherà” quali sono i sindacati rappresentativi e quali no.
Sorge subito un piccolo problema di democrazia e trasparenza: Confindustria, dall’alto del suo 3% di rappresentatività, ha storicamente intrattenuto rapporti e relazioni sindacali esclusivamente con CGIL, CISL e UIL (per i meno informati precisiamo che sì, Confindustria in quanto associazione privata, come i sindacati, può liberamente scegliere, a propria completa discrezione, con chi parlare e con chi no, con chi trattare e con chi no, con chi sottoscrivere accordi collettivi e con chi no); il sistema di relazioni sindacali costruito nel tempo con CGIL, CISL e UIL è un sistema chiuso, studiato appositamente per non consentire l’inserimento di altri soggetti.
Come è possibile, osserverà qualcuno, i soliti piagnistei di chi ha pochi iscritti e dice che gli altri imbrogliano…; il sistema può essere sintetizzato così, io stipulo un contratto collettivo con qualcun altro che scelgo a mia discrezione, nel contratto collettivo prevedo agibilità sindacale solo per i sindacati firmatari del contratto stesso, per cui se arriva il rompiscatole autonomo di turno non gli riconosco la rappresentanza sindacale, i permessi, il diritto di assemblea, non ci parlo, non ho rapporti, per cui i suoi iscritti, o sono mossi da una forza di volontà superiore, oppure dopo aver riscontrato che il loro sindacato non riesce ad avere una risposta nemmeno se chiede un chiarimento sulla busta paga, magari anche velatamente spinti da qualche persuasivo consiglio, si rivolgono a qualche sindacato “firmatario”, al quale tutte le porte si aprono immediatamente.
Qualcuno ovviamente potrà osservare – e di questi tempi, in cui regna una strana concezione della democrazia, questi ragionamenti sono sempre più diffusi – che è un ottimo sistema perchè limita il numero di sindacati, quindi la confusione nel settore, per non parlare di quei leggendari sindacati “irresponsabili” (la responsabilità, come noto, ha ormai superato valori quali la democrazia, il pluralismo, l’uguaglianza, solo per citarne alcuni) che con 3 iscritti con uno sciopero bloccano una città.
Qualcun altro potrebbe invece osservare come il sistema di cui sopra abbia poco a che vedere con i diritti dei lavoratori e comunque con un buon sistema di relazioni sindacali, ma che, con tutto il contorno di enti bilaterali, commissioni di conciliazione, certificazione, armonizzazione, ecc. e poltrone connesse, somigli più a una torta, le cui fette, come noto, sono più grandi se divise tra meno golosi.
Quindi tornando alla metafora della partita o gara, il sistema di relazioni sindacali concepito dalla triplice e confindustria, e che si appresta ad essere avvalorato dalla pubblica autorità, prevede che siamo tutti uguali ai blocchi di partenza, ma qualcuno deve correre con una zavorra di 100 kg sulla schiena.
Ci sarebbe poi l’art. 39 della Costituzione, che garantisce la libertà sindacale, ma anche la Costituzione a volte torna comoda e a volte no. Certo, ora troverà piena attuazione quando sarà applicata la validità erga omnes dei contratti collettivi, contratti collettivi che però saranno sottoscritti dai sindacati individuati con le modalità descritte e che non sembrano proprio in linea col principio della libertà e pluralità sindacale.
Poco male però, magari non sarà un sistema proprio democratico e trasparente, ma almeno ci libererà finalmente dalla piaga dei contratti pirata. Cosa sono i contratti pirata? In sintesi possiamo definire “pirata” qualsiasi contratto non sottoscritto dalla triplice; chi ha inventato questa definizione? ovviamente la triplice stessa, per il consueto principio di autoreferenzialità.
Come noto, i lavoratori italiani vivono, soprattutto da 20 anni a questa parte, nel regno del bengodi, in cui hanno visto crescere esponenzialmente il proprio potere di acquisto e il proprio livello di diritti, grazie al lavoro instancabile della triplice sindacale, con i suoi contratti nazionali di qualità e la strenua difesa dei diritti dei lavoratori (tra cui, come noto, uno dei principali è quello all’eutanasia, battaglia cui Landini ha sentito il primario bisogno di garantire il proprio pieno sostegno).
Si potrebbe osservare che la triplice negli ultimi decenni non ha particolarmente brillato quanto a combattività su temi quali la delocalizzazione, l’esporre le aziende italiane alla concorrenza di quelle di paesi in cui il costo del lavoro è la metà (problema risolto dimezzando i livelli reddituali dei lavoratori italiani), una moneta troppo forte per l’economia italiana e non svalutabile per ridare competitività al sistema (meglio svalutare i salari), sul saccheggio di azienda italiane da parte di soggetti esteri, che ne hanno succhiato i profitti e la linfa vitale per poi lasciarle moribonde a carico dei contribuenti italiani o per spezzettarle e venderle, il continuo attacco ai diritti del lavoro e al nostro sistema di welfare; in effetti l’opera in cui si è contraddistinta la triplice negli ultimi anni è proprio la battaglia ai terribili contratti pirati, che qualcuno interpreta come una semplice difesa del proprio diritto esclusivo a rappresentare i lavoratori (che sempre meno gli riconoscono questo diritto tramite lo strumento della delega di iscrizione) e che adesso auspicano riconosciuto dalla pubblica autorità.
Sarà un caso ma proprio recentemente è uscita una sentenza del Tribunale di Torino, del 9 agosto, che ha scovato un altro contratto pirata che viola l’art. 36 della Costituzione (che impone retribuzioni erogate con principi di proporzionalità e sufficienza). Con un piccolo particolare però, che a sottoscriverlo sono CGIL e CISL.
Ma questo merita un approfondimento a parte.