La Fesica Confsal è il Sindacato autonomo dei lavoratori aderente alla Confsal la Confederazione dei Sindacati Autonomi dei lavoratori quarta forza sindacale del paese

Da una sentenza del Tribunale del Lavoro di Torino qualche riflessione su pirati e rappresentanza.

25/09/2019

Torniamo sull’argomento già trattato del recente accordo sulla rappresentanza tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, per svolgere qualche ulteriore considerazione anche sulla scorta della sentenza n. 1128/2019 del Tribunale di Torino, che fornisce significativi spunti di riflessione sull’argomento.

Riassumiamo brevemente il contenuto della sentenza; un lavoratore si è rivolto al Tribunale del Lavoro di Torino chiedendo il pagamento di differenze retributive nei confronti di un’azienda che aveva applicato il CCNL Servizi Fiduciari (sottoscritto da CGIL e CISL), motivando tale richiesta, tra l’altro, deducendo che la retribuzione corrisposta in base a tale CCNL non fosse rispettosa dei principi di proporzionalità rispetto al lavoro svolto e di sufficienza a garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, ai sensi dell’art. 36 della Costituzione.

Quindi il lavoratore di fatto denunciava come “pirata” un CCNL sottoscritto, niente meno, dalla CGIL e dalla CISL.

Come abbiamo avuto modo di spiegare in un precedente articolo, nel mondo del lavoro italiano, su cui regna l’egemonia di alcuni soggetti, per definizione un contratto si definisce pirata se non è sottoscritto dai sindacati della triplice, rappresentando il loro suggello, ipso facto, garanzia di qualità del contratto a prescindere dal contenuto del contratto stesso.

Le ragioni per cui alla triplice sindacale è riconosciuta a priori questa patente di autorità, moralità e affidabilità non sono di origine divina, come si potrebbe tendere a credere, ma molto più prosaiche e trovano origine in un sistema di relazioni sindacali costruito nei decenni, chiuso e autoreferenziale, in cui gli stessi soggetti che ne sono parte (triplice, confindustria, confcommercio, solo per citarne alcune), si scambiano reciprocamente patenti di rappresentatività, credibilità, affidabilità, ecc., senza alcun riscontro da parte di terze autorità indipendenti. Ovviamente è un sistema strettamente interconnesso con la politica, che tiene bordone, come provano i frequenti passaggi di molti personaggi dal mondo sindacale a quello politico, piuttosto che a poltrone comunque di nomina politica.

In merito alla rappresentatività di Confindustria sarebbe necessario un lungo approfondimento, per capire chi e cosa rappresenti effettivamente; per lo più rappresenta le grandi industrie, quelle che per sopravvivere hanno spesso attinto alle casse pubbliche e/o dall’apparato statale traggono i propri contratti spesso in regime di semi-monopolio, strani campioni di un mondo imprenditoriale tutto italiano, in cui il rischio di impresa (quando c’è) è a carico dei contribuenti, a differenza dei profitti.

Insomma un mondo imprenditoriale un po’ diverso da quello che compone per la stragrande maggioranza il tessuto produttivo italiano, la media e piccola impresa che invece attrae molto poco la politica e che ha visto sparire interi settori produttivi, esposti senza riparo alla concorrenza globale, ma che qualcuno vorrebbe comunque costringere a farsi rappresentare da chi ha interessi molto diversi.

Ora possiamo affermare come dato di fatto che il sindacato e in particolare la triplice, negli ultimi decenni, abbia cambiato radicalmente il proprio modo di fare sindacato, basti pensare al bassissimo tasso di conflittualità sindacale nonostante una crisi ormai ventennale che ha segnato un pesantissimo arretramento delle condizioni dei lavoratori sotto tutti i punti di vista, reddituale, di tutele e sistema di welfare.

La triplice si è trasformata sempre di più in un mix tra un apparato politico/burocratico e una onlus, con quest’ultimo aspetto particolarmente marcato nel caso della CGIL, sempre meno attenta ai diritti del lavoro e sempre più impegnata nel campo dei cosiddetti diritti civili.

Questo cambiamento ha portato inevitabilmente a un drastico crollo delle iscrizioni dei lavoratori ai sindacati, ma soprattutto l’incapacità delle “storiche” parti datoriali e sindacali di dare risposte alle mutate esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori che dovrebbero rappresentare, ha portato al proliferare di una contrattazione nazionale da parte di altri soggetti.

Bene, siamo in democrazia, la libertà sindacale è sancita dalla Costituzione, quindi ben vengano altri soggetti, magari portatori di nuove visioni delle relazioni sindacali e soprattutto meno impantanati in un sistema di relazioni che ormai tende solo a mantenere lo status quo di predominio nel settore.

Manco per niente. Il fenomeno vene subito bollato come “pirata”, con continui inviti alla pubblica autorità, alla faccia del pluralismo e della democrazia, ad arginare tale fenomeno; noi CGIL, CISL e UIL, Confindustria, ecc., con tutto il nostro monumentale apparato di enti bilaterali, commissioni, centri studi, ecc., pagati coi soldi dei nostri iscritti, non riusciamo più a convincere i soggetti che dovremmo rappresentare che siamo i migliori e che i nostri contratti li renderanno felici dando risposta alle loro esigenze, ci scappano da tutte le parti, quindi tu Stato, facci il favore a fronte della nostra bontà, di usare la tua autorità per arginare questi pirati che vorrebbero fare quello che facciamo noi, e quindi via con norme in cui inizia a comparire il concetto di “rappresentatività comparata”, anatemi lanciati contro le aziende che applicano diversi CCNL, norme studiate ad hoc per impedire a tali aziende di accedere a benefici fiscali e contributivi, campagne di contestazioni da parte degli organi di vigilanza, mascherando il tutto come tutela dei lavoratori e delle aziende sane.

Sul concetto di rappresentatività comparata è necessario soffermarsi un attimo per spiegarlo; prima di tutto rammentiamo come in Italia non esista un sistema oggettivo per contare gli iscritti di un sindacato; tutti i numeri in circolazione sono per lo più frutto delle dichiarazioni dei sindacati stessi, la cui attendibilità quindi può essere ragionevolmente sospetta.

Ciononostante la rappresentatività di CGIL, CISL e UIL è un “fatto notorio”, anche in questo caso loro – e solo loro – sono rappresentativi a priori; fino a qualche decennio fa vigeva nel diritto del lavoro un concetto diverso, quello della maggior rappresentatività, nel quale con una certa fatica erano riusciti a rientrare, soprattutto a forza di sentenze dei Tribunali e non certo per “fatto notorio”, anche diversi sindacati autonomi.

Questo chiaramente poneva un problema, se questi che sono maggiormente rappresentativi come noi iniziano a fare contrattazione, come facciamo a rimandarli in serie B, in modo che i nostri contratti siano sempre a priori meglio dei loro, qualsiasi fregnaccia ci scriviamo? Ed ecco qua che fa capolino il concetto di rappresentatività comparata, ovvero possiamo anche essere tutti rappresentativi (non si dica che sia un concetto anti-democratico o anti-pluralista), ma se ci compariamo qualcuno è più rappresentativo di altri, e solo questo qualcuno può godere del crisma della rappresentatività sui propri atti.

Ok, ma se non c’è un sistema oggettivo per misurare gli iscritti, come facciamo a stabilire la classifica della rappresentatività? Con il già citato metodo del “fatto notorio” ovviamente.

Dopo questa lunga digressione, torniamo alla sentenza del Tribunale di Torino; un lavoratore ha quindi ipotizzato che un contratto sottoscritto da CGIL e CISL non fosse rispettoso, nella parte economica, dell’art. 36 della Costituzione.

Impossibile, sarà stato condannato per lite temeraria ed esposto al pubblico ludibrio.. ipotizzare che un CCNL sottoscritto da sindacati notoriamente rappresentativi possa essere non solo un contratto pirata ma addirittura non rispettoso dell’art. 36 della Costituzione è al limite della lesa maestà.

Invece, incredibile a dirsi, il Tribunale gli ha dato ragione, condannando l’azienda, anzi la cooperativa nel caso specifico, al pagamento delle differenze retributive.

Già questo, l’esito del processo, è un fatto epocale, che sancisce quello che forse già il comune buon senso dovrebbe essere sufficiente a riconoscere: la “bontà” di un accordo collettivo non può essere data dai soggetti che lo firmano, ma solo ed esclusivamente dal suo contenuto, e solo in base a tale contenuto andrebbero eventualmente rilasciate le patenti di pirateria.

Ma è forse ancor più interessante lo svolgimento del processo, riassunto nella sentenza, da cui emergono ulteriori importanti spunti di riflessione.

Primo spunto, di nuovo il fatto notorio.

Per prima cosa il Giudice ha voluto verificare se la cooperativa avesse rispettato l’art. 7 del D.L. 248/2007, che impone alle cooperative di applicare un trattamento economico non inferiore a quello stabilito dai CCNL nella categoria; ai fini di questa verifica il Giudice richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 51/2015, per stabilire che il trattamento economico di riferimento non può essere quello dato da CCNL sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali di non accertata rappresentatività. Ricordiamo ancora che, ad oggi, in Italia non esiste un metodo oggettivo per misurare gli iscritti dei sindacati e quindi la loro rappresentatività, per cui non si comprende come si possa accertare tale rappresentatività.

Quindi il Giudice come risolve il problema? “i vari ccnl in questione (il lavoratore nel proprio ricorso aveva effettuato una comparazione tra vari ccnl, ndr), comunque, sono stati tutti sottoscritti da CGIL e CISL, che sono organizzazioni sindacali certamente qualificabili come “comparativamente più rappresentative a livello nazionale”.  CGIL e CISL sono comparativamente più rappresentative a livello nazionale per definizione. In base a quale dato oggettivo? E’ un fatto notorio. E la questione è chiusa.

Quindi il Giudice, stabilito che il trattamento economico non viola l’art. 7 del D.L. 248/2007 passa a verificare se sia conforme all’art. 36 della Costituzione.

Infatti, per quanto sia rispettato il citato articolo 7, per quanto il CCNL sia stato sottoscritto da OO.SS. notoriamente rappresentative, per quanto la giurisprudenza in materia, ai fini della individuazione della giusta retribuzione faccia riferimento alle tabelle dei CCNL, non è detto che il trattamento economico stabilito comunque “possa risultare in concreto lesivo del principio di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro di cui deve costituire il corrispettivo e/o di sufficienza ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Nel suo ricorso il lavoratore, come accennato, aveva evidenziato come per la stessa mansione, diversi CCNL prevedessero trattamenti economici superiori, a parità di condizioni, da quello previsto dal CCNL Servizi Fiduciari, citando il CCNL Multiservizi, il CCNL proprietari di fabbricati, il CCNL terziario (tutti sottoscritti dalla triplice) e addirittura, incredibile, il CCNL Unci e il CCNL agenzie investigative.

Il Giudice ha quindi verificato le retribuzioni previste dagli altri CCNL, riscontrando che il trattamento economico previsto dal CCNL Servizi fiduciari era inferiore a quello previsto da tutti gli altri CCNL (ebbene sì, anche rispetto al CCNL Unci, ovvero il CCNL pirata per antonomasia).

In particolare inferiore del 27,03% rispetto al CCNL Multiservizi, del 23,66% rispetto al CCNL proprietari di fabbricati, del 36,23% rispetto al CCNL terziario, del 14,60% rispetto al CCNL Unci, del 15,92% rispetto al CCNL agenzie investigative.

Doverosa riflessione: possibile che OO.SS. illuminate, di cui si presume a priori la capacità di determinare adeguati trattamenti retributivi confacenti agli interessi dei lavoratori, in quanto rappresentativi e conoscitori del mondo del lavoro (come scrive il giudice in un’altra parte della sentenza), per la medesima mansione possano determinare trattamenti economici tanto difformi a seconda del CCNL che sottoscrivono?? Quale logica può mai esserci dietro al fatto che OO.SS. notoriamente capaci e migliori delle altre, possano stabilire che per lo stesso lavoro devo guadagnare 100 se l’azienda che mi assume applica il CCNL X e invece guadagnare 70 se l’azienda che mi assume applica il CCNL Y? In parte questa logica sarà svelata sempre dalla sentenza, per cui andiamo avanti.

Il Giudice a questo punto effettua un’ulteriore verifica, per appurare se la retribuzione prevista dal CCNL Servizi Fiduciari sia almeno al di sopra della soglia di povertà come determinata dall’Istat.

Ora ipotizzare che addirittura Sindacati illuminati possano aver sottoscritto un CCNL che preveda stipendi sotto la soglia di povertà appare ai limiti del temerario.

Vediamo: il Giudice prende a riferimento tale soglia, pari, per un cittadino senza familiari conviventi di età compresa tra 18 e 59 anni e che viva in un’area metropolitana del Nord, ad euro mensili 984,64; calcoli alla mano, sempre il Giudice determina in 687,38 euro netti la retribuzione spettante in forza del CCNL Servizi Fiduciari, quindi un bel 30% in meno.

Evidentemente è un po’ pirata anche l’Istat; se lo sanciscono CGIL e CISL, deve essere un fatto notorio che una persona possa campare in una città del nord con 687 euro al mese.

In effetti la faccenda pare strana anche al Giudice, che lascia trapelare una certa perplessità sul fatto che per lo stesso lavoro possano prevedersi trattamenti retributivi tanto diversi: “il fatto che i rappresentanti delle medesime organizzazioni sindacali, nell’ambito di vari altri contratti collettivi, abbiano stimato proporzionata alla stessa quantità e qualità della prestazione una retribuzione sensibilmente superiore, infatti, grava la retribuzione in questione della presunzione uguale e contraria che essa non sia invece proporzionata”.

E aggiunge: “tale giudizio risulta rafforzato dalla considerazione che anche i contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni sindacali diverse, la cui rappresentatività è pacificamente inferiore (torna il fatto notorio, ndr), prevedevano comunque una retribuzione superiore (…)”.

Insomma il Giudice sembra quasi incredulo, possibile che proprio voi, notoriamente rappresentativi, abbiate firmato una schifezza peggiore di quelle che firmano i pirati??

La faccenda sembra tanto assurda che il Giudice decide di chiedere chiarimenti ai Sindacati per cercare di capire come sia stata possibile una tale nefandezza; al di là dell’ironia, è certo condivisibile l’intento del Giudice di capire se la decisione di accettare tali tabelle retributive fosse giustificata o, meglio ancora, bilanciata, da valutazioni svolte dal Sindacato inerenti altri aspetti del Contratto Collettivo; visione certo condivisibile, giacché un accordo collettivo non è fatto solo di tabelle retributive, ma anche di una parte normativa che incide in maniera altrettanto importante.

Il Giudice ha quindi chiesto informazioni ai Sindacati e alle Organizzazioni Datoriali, le cui risposte aprono uno scenario con elevati tratti di involontaria comicità.

La prima cosa che il Giudice vorrebbe capire è per quale motivo, esistendo già altri CCNL che disciplinano il settore, è stata creata la sezione servizi fiduciari del ccnl vigilanza.

La parte datoriale Assiv ha in sintesi affermato che l’esigenza nasceva da una parte dalla presenza di altri CCNL nel settore sottoscritti da altre organizzazioni, cui le aziende del settore si stavano rivolgendo (alla concorrenza, quindi..) e dall’altra dall’esigenza di individuare un nuovo CCNL per fronteggiare un settore in cui la committenza riduceva sempre di più gli importi dei corrispettivi.

Secondo i sindacati l’esigenza nasceva dalla necessità di “raggiungere trattamenti complessivi (anche normativi) migliori di quelli dei CCNL finora applicati”. Visti i risultati, trattasi di un chiaro caso di eterogenesi dei fini.

Urge una riflessione che riguardi anche la questione degli appalti.

Effettivamente i corrispettivi corrisposti dai committenti negli appalti di servizi, non solo nel settore della vigilanza, ma anche nelle pulizie, ristorazione, facchinaggio, ecc., hanno subito negli ultimi anni un vero e proprio crollo, con le logiche conseguenze negative per le aziende del settore (soprattutto chi poi lavora con la committenza pubblica deve fronteggiare oltre al problema dei compensi ridotti, quello dei tempi di pagamento).

La risposta a questo fenomeno è stata una sola: ridurre il costo del lavoro, come peraltro confermano i rappresentanti di ASSIV anche nel caso specifico.

Il problema degli appalti andrebbe affrontato invece con un fronte comune, aziende-sindacati, per ottenere una normativa che disciplini il settore prevedendo espressamente dei minimi dei compensi sotto i quali nessun committente, pubblico o privato che sia, possa scendere.

Una normativa severa che punisca realmente quelle aziende che i propri utili li ricavano non pagando gli stipendi e non versando i contributi, tramite società che muoiono con l’appalto, mentre gli stessi soggetti continuano ad operare nella nuova e immacolata veste di un altro soggetto giuridico.

La seconda domanda che il Giudice pone agli informatori sindacali riguarda le ragioni per cui i precedenti contratti non erano ritenuti adeguati e in che modo il nuovo contratto avrebbe dovuto migliorare le condizioni dei lavoratori.

Da una parte i sindacati affermano che il nuovo CCNL doveva servire ad arginare i famigerati contratti pirata, dall’altra però riconoscono che i CCNL più applicati nel settore erano sempre i loro, in particolare il Multiservizi, senza però mostrare particolari titubanze sul come le due affermazioni potessero convivere.

Infine, scrive il Giudice: “il quadro è risultato ancor più confuso e contradditorio laddove gli informatori hanno risposto alla richiesta di spiegare come è stata determinata la retribuzione di cui all’art. 23”.

Secondo qualcuno si è partiti dal CCNL Vigilanza, secondo altri dal CCNL portieri.

Interessante quanto dichiara il consulente legale Assiv a proposito della trattativa relativa alle retribuzioni: “(…) non c’è stata comunque una grande lotta, il profilo retributivo non ci ha tenuto in ballo per molto tempo”. L’abbiamo già scritto, l’epoca delle lotte sindacali è passata, al limite qualche battaglia si può fare per l’eutanasia. Chissà su quali istituti si sarà accesa la trattativa…

Altre citazioni dagli informatori sindacali: “certo il costo dell’operazione si è scaricato sui nuovi entrati. Lo dico perché il vantaggio per le aziende riguarda soprattutto i livelli di ingresso. Il vantaggio però è stato che questo contratto ha portato all’emersione un settore che era ampiamente sprofondato”;

“l’idea era di partire da una retribuzione e poi cercare nei rinnovi di migliorarla. E’ scritto anche nelle premesse del contratto”.

Commenta il Giudice:

“ebbene, nonostante le incertezze e contraddizioni presenti in tali dichiarazioni, appare evidente che l’accordo sulla retribuzione di cui all’art. 23 trova la sua fondamentale spiegazione nella volontà delle parti stipulanti di predisporre un nuovo CCNL destinato a trovare ampia applicazione nel settore.

L’interesse sotteso alla volontà delle organizzazioni datoriali è ovvio, essendo costituito dal beneficio immediato e generale di un costo del lavoro decisamente più basso di quello medio derivante dall’applicazione dei contratti collettivi tradizionalmente utilizzati fino ad allora e, come tale, più adeguato ai corrispettivi offerti dai committenti.

La ricostruzione dell’interesse delle organizzazioni sindacali dei lavoratori è meno agevole.

Esso è stato individuato in modo sostanzialmente univoco nell’esigenza di sostituire un sistema di tutele unitario ed adeguato alla precedente situazione di frammentazione della regolamentazione contrattuale tra molteplici contratti, alcuni dei quali dotati di tutela insufficiente.

Non è altrettanto chiaro, tuttavia, quali siano i profili sui quali la sezione Servizi Fiduciari del CCNL vigilanza potesse effettivamente realizzare un miglioramento del trattamento economico e normativo dei lavoratori e, ancor meno, quale sia la portata soggettiva di tale miglioramento e cioè quanta parte di lavoratori del settore potesse realmente ricevere dei benefici tali da compensare l’abbassamento generalizzato della retribuzione”.

Insomma con tutta la buona volontà, in qualsiasi modo giri la faccenda, proprio non si capisce per quale motivo CGIL e CISL abbiano accettato di sottoscrivere un tale CCNL.

Azzardiamo un’ipotesi: qualcuno si è preoccupato, più che di tutelare gli interessi dei lavoratori, di evitare la migrazione delle aziende su CCNL sottoscritti da altri Sindacati, con grave nocumento all’immagine dei sindacati e soprattutto con perdita dell’egemonia in materia di contrattazione. Evidentemente queste ragioni sono prioritarie e i lavoratori, davanti alle buste paga, possono consolarsi sapendo di essere regolamentati da un CCNL sottoscritto da Sindacati notoriamente rappresentativi.

Ancora il Giudice: l’indubbia inidoneità delle ragioni che hanno spinto le organizzazioni sindacali dei lavoratori ad accettare la retribuzione di cui si discute, è ancora più evidente nel caso di specie in cui, come già sottolineato, il ricorrente non ha neanche beneficiato del nuovo unitario regime normativo di cui gli informatori sindacali hanno esaltato il carattere migliorativo, essendogli stato applicato dalla convenuta un regolamento sociale che appare sensibilmente deteriore sotto tutti i profili”.

Gli informatori sindacali avevano “esaltato” (si coglie una punta di ironia) l’apparato normativo del CCNL, che avrebbe compensato il profilo retributivo, meno esaltante; nel caso specifico però, trattandosi di una cooperativa, il povero lavoratore non aveva potuto goderne, altrimenti, aggiungiamo, certamente non avrebbe fatto causa, perché pur vivendo sotto la soglia di povertà avrebbe goduto della maggiorazione del 38% sul lavoro supplementare (in effetti, essendo full time, non avrebbe goduto neanche di questa..), 22 giorni di ferie se lavorava su 5 giorni, ben 26 se lavorava su 6 giorni, effettivamente conquiste straordinarie paragonabili all’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori; addirittura avrebbe potuto beneficiare, nei periodi di malattia e infortunio, del 100% della retribuzione (sempre quella sotto la soglia di povertà ovviamente).

Al di là dell’ironia, questa sentenza chiarisce che la qualità di un contratto nazionale non può essere valutata in base a chi lo sottoscrive, ma esclusivamente in base al suo contenuto.

Che invece si voglia far passare il principio opposto, al solo scopo di salvaguardare posizioni di potere, oltre a ledere chiaramente i più elementari principi del pluralismo e della democrazia, è nocivo per tutto il mondo del lavoro.

Il fenomeno del dumping contrattuale esiste ed è un problema da affrontare, così come quello dei contratti “pirata”, intendendo per pirata contratti che hanno come unico scopo di quello di prestarsi a fenomeni di dumping per il loro contenuto e chi è senza peccato scagli la prima pietra; ma se questi fenomeni sono nati e si sono sviluppati, la responsabilità primaria è di chi ha scientemente costruito un sistema chiuso di relazioni sindacali, che non consente l’ingresso di nuovi soggetti, a prescindere dalla loro rappresentatività e capacità di rappresentanza, con ciò costringendo di fatto questi soggetti, che non si sentono rappresentati da chi pretende invece di voler rappresentare tutti, a costruire altri sistemi di relazioni sindacali.

Con la crisi poi si è scatenata una concorrenza al ribasso che nuoce a tutto il sistema e di cui il caso esaminato dalla sentenza è una prova evidente.

Pensare oggi di risolvere questi problemi stringendo ancor più il bavaglio ad organizzazioni che sono presenti sul territorio, che quotidianamente si interfacciano con lavoratori e aziende, ne conoscono esigenze e problemi più di chi passa da una poltrona di una commissione a quella di un ente bilaterale vivendo ormai una quotidianità completamente diversa da quella dei soggetti che pretende, loro malgrado, di rappresentare per forza (pubblica magari), al di là di qualsiasi giudizio morale, non può che portare ad un ulteriore aggravamento della situazione e una gravissima crisi della rappresentanza che rischia di scollare definitivamente la stragrande maggioranza di lavoratori e aziende dal mondo sindacale.

A chi giova questo? Certo non ad aziende e lavoratori, la cui frantumazione ne indebolisce inevitabilmente la forza, lasciandoli esposti da soli per essere sempre più travolti dalle crisi presenti e future, che necessiterebbero invece di un fronte comune, un nuovo patto per il lavoro già invocato dalla Confsal, che veda imprese e lavoratori, oltre miopi visioni di parte, confrontarsi e condividere linee di azione da portare all’attenzione di una politica sempre meno attenta ai temi della tutela del lavoro.