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Le novità delle riforma lavoro – contratto a tempo determinato

04/09/2012

Il contratto acausale.

La riforma prevede la possibilità di stipulare un primo contratto di lavoro a termine senza necessità dell’indicazione di una causa specifica, a condizione che abbia una durata non superiore a 12 mesi (stessa norma vale per la somministrazione di lavoro).

In alternativa il datore di lavoro può stipulare contratti acausali senza limite di durata qualora:

– ciò sia previsto dalla contrattazione collettiva;

– entro il limite del 6% dei lavoratori occupati presso l’unità produttiva;

– nell’ambito di un processo organizzativo caratterizzato da: avvio di una nuova attività; lancio di un nuovo prodotto; cambiamento tecnologico; fase supplementare di un progetto di ricerca; rinnovo proroga di una commessa;

Il contratto acausale non può mai essere prorogato.

Aumento del costo

Il costo del lavoro a tempo determinato comporterà un maggior costo pari al 1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali che andrà a finanziare l’Aspi; tale maggior costo potrà successivamente essere recuperato dall’impresa (per un importo non superiore alle ultime 6 mensilità) in caso di stabilizzazione immediata o nei successivi sei mesi, del lavoratore.

Il contributo non è comunque dovuto in caso di assunzione in sostituzione di personale assente e per lavoratori stagionali.

Prosecuzione del rapporto oltre il termine

E’ consentita per un massimo di 30 giorni (e non più 20) per i contratti di durata fino a 6 mesi; per un massimo di 50 giorni (e non più 30) per contratti di durata superiore a 6 mesi, fermo restando l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare, entro la scadenza originaria del contratto, la proroga al centro per l’impiego.

Successione di contratti

E’ stato aumentato l’intervallo temporale che deve trascorrere per poter stipulare successivi contratti con lo stesso lavoratore, nei seguenti termini:

60 giorni (e non più 10) se la durata del primo contratto è inferiore a 6 mesi;

90 giorni (e non più 20) se la durata del primo contratto è superiore a 6 mesi;

tali limiti possono essere ridotti fino a 20 giorni nel primo caso e fino a 30 nel secondo in caso di avvio di una nuova attività, lancio di un nuovo prodotto, cambiamento tecnologico, fase supplementare di un progetto di ricerca, rinnovo/proroga di una commessa;

Computo del periodo massimo di durata del rapporto a termine

In tale calcolo dovranno essere considerati, al fine di verificare l’eventuale superamento del limite di 36 mesi per effetto di più contratti successivi (eventuali proroghe e rinnovi), anche eventuali contratti di somministrazione.

Impugnazione del termine

Variati i termini di decadenza per l’impugnazione del termine apposto al contratto da parte del lavoratore.

Per i contratti che scadranno successivamente al 1° gennaio 2013, il lavoratore dovrà impugnare il termine, anche in via stragiudiziale, entro 120 giorni dalla scadenza del contratto (e non più entro 60 giorni, termine che resta valido per i contratti che scadranno entro il 31/12/2012); inoltre dovrà avviare l’azione giudiziaria entro i successivi 180 giorni (e non più entro 270, termine che resta valido per i contratti che scadranno entro il 31/12/2012).

Indennità onnicomprensiva

La legge chiarisce, ponendo fine ad una controversia questione giurisprudenziale, che l’indennità che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore in caso di conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato (da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità) è onnicomprensiva e pertanto risarcisce il lavoratore sotto tutti gli aspetti, compresi quelli retributivi e contributivi.

Valutazioni

Partendo dal presupposto fondamentale della riforma del lavoro, che indica espressamente il contratto di lavoro a tempo indeterminato come tipologia “dominante”, le misure adottate in materia di contratto a tempo determinato sono quanto meno contraddittorie.

Da una parte si agevola in maniera eccessiva la possibilità di stipulare il primo contratto a termine, liberandolo dalla necessità di qualsiasi esigenza tecnica, organizzativa e produttiva che ne giustifichi il ricorso; dall’altra lo si penalizza sotto molte altre forme, prima fra tutte l’aumento del costo del lavoro, ma non indifferente anche l’irrigidimento con l’aumento dei termini che devono trascorrere tra un contratto e il successivo.

Tali misure sembrano voler snaturare la ratio stessa del contratto a tempo determinato, volendolo trasformare non tanto in uno strumento utile per le aziende che devono fronteggiare esigenze lavorative temporanee, quanto in una sorta di anticamera del contratto a tempo indeterminato, col serio rischio che ad utilizzarlo non saranno più tanto aziende che devono fronteggiare esigenze temporanee, quanto aziende che utilizzeranno il contratto a termine come periodo di prova per i lavoratori (ad esempio stipulando un primo contratto a termine acausale di 6 mesi, al quale far seguire l’eventuale assunzione a tempo indeterminato che consentirebbe anche il recupero del maggior costo del 1,4% sostenuto nei 6 mesi del contratto a termine).

D’altra parte il notevole aumento dei tempi che devono trascorrere tra un contratto a tempo determinato e il successivo con lo stesso lavoratore, rischiano di ottenere l’effetto opposto a quella dell’auspicata stabilizzazione a tempo indeterminato dei lavoratori, obbligando l’azienda che avesse dopo la scadenza del contratto a termine con un lavoratore una nuova esigenza a rivolgersi ad un altro lavoratore.